mercoledì 11 settembre 2013

Il messaggio iniziatico dell'arte paleolitica

Foto: felini nell'arte parietale della caverna di Chauvet, Francia, 35.000 a.C.

L'ARTE PALEOLITICA NON E' SEMPLICE. QUELLO CHE FINORA E' STATO SCOPERTO E' SOLO UNA MINIMA E, FORSE, MARGINALE PORZIONE DEI CAPOLAVORI D'ARTE E DEI LUOGHI DI CULTO ATTRAVERSO CUI I NOSTRI ANTENATI SI TRAMANDAVANO LA GNOSI ANCESTRALE. QUESTA CONOSCENZA NON E' MAI STATA COMPLETAMENTE PERDUTA, MA FU PROTETTA IN EPOCA STORICA DA SIMBOLI E CODICI A CUI HANNO SEMPRE AVUTO ACCESSO POCHI INIZIATI. LA STORIA DELL'UMANITA' HA SEMPRE AVUTO DUE VOLTI: QUELLO CHE PUO' ESSERE OSSERVATO DALL'UOMO COMUNE E QUELLO REALE, CHE APPARTIENE AL RISVEGLIO.

 Osservando ogni più antica opera e dimenticando le tesi convenzionali, si nota, in ogni forma dell'espressione e dell'arte umana, come essa abbia subito piuttosto un'involuzione che un evoluzione nel corso del tempo. Le opere pittoriche e a bassorilievo del Paleolitico sono superiori a quelle del Neolitico; le piramidi più antiche dell'Egitto sono più grandi e perfette di quelle successive; per non parlare dei complessi architettonici megalitici (ineguagliati nelle epoche successive) e delle più antiche conoscenze astronomiche e intuitive. Sembra proprio che quello che noi consideriamo l'inizio della civiltà e facciamo risalire a 5000 anni fa con l'inizio dell'era dinastica nell'Antico Egitto e in Mesopotamia, sia stato piuttosto un tentativo di risveglio e un applicazione di antichissime conoscenze tramandate da decine di millenni e che gli ultimi 5000 anni di civiltà, così come la concepiamo noi, consistano piuttosto in un imbarbarimento della comunità umana, soprattutto dal punto di vista dei rapporti sociali, con il sovvertimento delle antiche ed ancestrali conoscenze ed il capovolgimento opportunistico del loro significato, che generò forme di religiosità autoritarie e barbare, basate anche sui sacrifici umani (vediamo le civiltà precolombiane), certamente sconosciute alle epoche precedenti, che dovettero consistere nell'età dell'oro vagamente rimpianta da tutti i miti del breve tratto di storia a noi conosciuto. 5.000 anni non sono nulla in confronto alle centinaia di migliaia di anni in cui l'uomo ha vissuto sulla terra; 35.000 anni poi (epoca in cui sono state dipinte le straordinarie opere della caverna di Chauvet) non sono nulla per l'evoluzione e non è possibile che l'uomo fosse appena uscito dalle tenebre dell'incoscienza e, improvvisamente, si fosse messo a dipingere con veloci e sicuri tratti figure così intensamente espressive da eguagliare gli affreschi di Cnosso, usando dei colori peraltro ottenuti da una mescolanza di sostanze chimiche molto elaborata e sapiente, addirittura avendo così, improvvisamente, la geniale intuizione di usare la tecnica della moviola per dare movimento alle figure animali usando il trucco delle otto zampe o della ripetizione dei contorni della figura, come possiamo ben vedere nel bisonte che corre della caverna di Chauvet o nel cinghiale trotterellante di Altamira...Ora immaginiamo di non conoscere il cinema e di non aver mai visto un fumetto e pensiamo a quanto sarebbe difficile...improbabile farsi  venire in mente questo trucco presente già 35.000 anni fa...! Sarebbe davvero un offesa alla nostra intelligenza seguire i pregiudizi e le grossolane interpretazioni dell'arte e della vita paleolitica che ne danno i moderni evoluzionisti di stampo darwiniano, pronti a metterci del loro in ogni cosa e a legittimare l'odierna barbarie ammantandola di vetustà e a tale scopo inventandosi favole come quella (poi ovviamente confutata) dell'uomo di Cro Magnon che, giungendo dall'Africa, perpetrò uno sterminio ai danni dell'uomo di Neanderthal, o come quella che le impronte di mani con le dita evidentemente ripiegate in molte caverne europee, consistano in mutilazioni rituali, perchè praticamente secondo loro l'uomo paleolitico (così, tanto per gradire) si mozzava le dita rendendosi invalido alla caccia e ogni altra attività per tutta la vita, o come la teoria secondo cui gli uomini danzanti della caverna dell'Addaura in Sicilia danzerebbero per un imminente sacrificio umano (!); ma i deliri del darwinismo sociale non finiscono certo qui, ci vorrebbe un libro per elencarli tutti, come per esempio quello del cranio del Circeo che, siccome presenta uno sfondamento sulla calotta, sarebbe la testimonianza che l'uomo di Neanderthal compiva sacrifici umani mangiando il cervello della vittima, mentre poi è stato scoperto che il buco nella calotta fu dovuto all'azione di batteri e che il cranio fu trascinato nella caverna da un predatore felino che lì aveva la sua tana.  Per dare lustro alle tesi darwiniste fu modificato perfino un teschio delle caverne dei Balzirossi, approfittando dell'evidente malformazione mascellare che affliggeva l'individuo lì sepolto, causa di un insolito prognatismo facciale. Badiamo bene che finchè saremo in preda a questa assurda visione del percorso umano continueremo a meravigliarci e a cadere in una confusione sempre più intricata, perchè le nostre convinzioni, in seguito a sempre nuove scoperte, molte delle quali scomode e perciò snobbate dagli studiosi convenzionali, si arrampicheranno sempre più sugli specchi finchè saranno destinate a crollare. Ma, come si sa, è pericoloso toccare certe convenzioni, perchè ciò potrebbe consistere in un sussulto di coscienza e potrebbe mettere in pericolo molti sistemi e interessi. In base a pochi ritrovamenti ossei, sepolture e attrezzi dell'epoca vengono costruite delle fantasiose e improbabili congetture, basate sul nulla, circa la vita, la cultura e le abitudini di genti vissute decine di migliaia di anni fa; abbiamo visto documentari di Piero Angela che ci presentavano l'uomo di Neanderthal come un bruto, l'uomo di Cro Magnon come un crudele conquistatore...tesi che in realtà non ci dicono nulla nè dell'uomo di Neanderthal, nè dell'uomo di Cro Magnon (come lo denominiamo noi) ma ci dicono molto invece della mentalità e della psicologia di coloro che hanno costruito queste menzogne storiche, è il loro di mondo che viene raccontato, non quello dei nostri remoti antenati, ovvero l'unica realtà ch'essi hanno conosciuto, basata sulla sopraffazione, per cui non possono immaginare o interpretare nulla con la mente libera da questi preconcetti.  

L'ARTE DI LASCAUX, CHAUVET E ALTAMIRA 
Cinghiale trotterellante dalla caverna di Altamira (Spagna) ottenuto usando la tecnica "fumettistica" delle 8 zampe (17.000 a.C.).
Bisonte trotterellante dalla caverna di Chauvet (Francia) ottenuto usando la medesima tecnica delle 8 zampe del cinghiale di Altamira per dare l'impressione del movimento, solo che questo risale a quasi 20.000 anni prima: 35.000 a.C.

I più grandi capolavori dell'arte paleolitica non si trovano in luoghi accessibili e luminosi, ciò li avrebbe banalizzati: le opere delle più famose caverne conosciute come Lascaux, Altamira (i cui dipinti risalgono al 16.000 circa a.C.) e Chauvet (35.000 a.C.), ma anche delle meno conosciute, poichè era questa la consuetudine, hanno in comune l'essere raffigurate al riparo da occhi profani, laddove si fa arduo e pericoloso l'accesso (per esempio la caverna di Le Mas d'Azil in Francia custodisce le pitture fino a 400 metri di profondità e alcune delle meno famose perfino chilometri), lontano da dove si svolgeva la vita collettiva ed il messaggio universale che da quest'ultime veniva tramandato. Gli esperti che hanno studiato le opere nella caverna di Chauvet (35.000 a.C., scoperta nel 1994 dallo speleologo e fotografo  Jean-Marie Chauvet), avendo potuto prenderne visione dal vero affermano che i soggetti (cavalli e felini) sono raffigurati in maniera tale da creare una suggestione onirica e visionaria e da dare l'impressione del movimento man mano che lo spettatore si inoltra all'interno della grotta seguendo con lo sguardo le immagini. Oggi la caverna di Chauvet, come quasi tutte le caverne paleolitiche, tranne rare eccezioni, è chiusa al pubblico: al loro posto si sono create delle repliche con materiale plastico simile a roccia che riproduce fedelmente la conformazione dell'originale con tutte le pitture riprodotte da personale specializzato. Fino a due decenni fa l'opinione comune poneva i capolavori parietali di Lascaux e Altamira come testimonianze del raggiungimento di un apice evolutivo psichico e conoscitivo, ma la recente scoperta dei capolavori ancora più visionari e grandiosi della caverna di Chauvet, di ben 20.000 anni più antichi dei primi, sconvolsero completamente le vecchie e presuntuose teorie evoluzioniste che attestano date inverosimilmente recenti allo sviluppo dell'uomo moderno, fingendo di ignorare inconfutabili testimonianze e prove archeologiche. Attraverso i cunicoli, le gallerie e le sale di queste caverne si possono trovare rappresentazioni di mastodonti, cavalli e felini estinti(come il mammuth, il cavallo europeo, il leone delle caverne, la tigre con i denti a sciabola), non mancano raffigurazioni umane, anche se rare, ma stilizzate in confronto al realismo con cui sono rappresentati gli animali e, di solito, consistenti in associazioni ibride uomo-animale di origine sciamanica. Non dobbiamo affato metterci "del nostro" nell'interpretazione di queste pitture, bensì dobbiamo liberare la nostra mente dai condizionamenti di una visione utilitaristica e mediocre molto in voga ufficialmente, che vede nella raffigurazione faunistica il mero scopo di una propiziazione della caccia o esorcizzazione di chissà quali paure; le pitture paleolitiche di grotta tutto possono rappresentare, ma di certo non hanno nulla a che fare con queste interpretazioni grossolane: a differenza delle raffigurazioni rupestri (più usate nella successiva era neolitica) che presentano generalmente scene di caccia e di attività, i soggetti raffigurati sulle pareti delle caverne non narrano, non testimoniano alcun racconto di vita, ma ogni figura (umana o animale) galleggia in uno spazio fuori dal tempo, senza accenni paesaggistici, nessun soggetto comunica con quello che vi è raffigurato vicino, le figure vivono ognuna nella propria dimensione, fluttuano sulle volte, trotterellano, si sovrappongono come fantasmi senza incontrarsi mai, appunto perchè si elevano a una superiore dimensione evocando potenze psichiche descritte metaforicamente con figure animali, seguono un percorso iniziatico di trasformazione individuale mediante l'identificazione, soprattutto per quel che riguarda le figure ibride. Come dicevamo, quasi 20.000 anni separano le pitture di Altamira e Lascaux (16.000 a.C.) da quelle di Chauvet (35.000 a.C.), eppure sia a Chauvet che ad Altamira si trovano splendidi esempi di figure animate dalla geniale introduzione delle otto zampe ad indicare il trotto (vedi il cinghiale di Altamira e il bisonte di Chauvet). Questo cosa indica? Che l'evoluzione e la coscienza sono infinitamente più antiche di ciò che l'antropologia ufficiale vorrebbe far credere quasi con caparbia dogmatica. Non dobbiamo dimenticare che il Paleolitico è la culla degli archetipi, delle più profonde radici dell'inconscio collettivo e che la civiltà non consiste solo nella nostra concezione di quest'ultima, basata sull'esperienza millenaria di prevaricazione sociale, ma l'uomo è sempre stato "civile", anzi, lo era molto più nella Preistoria e la conoscenza,l'organizzazione e la genialità lo hanno sempre accompaganto e non sono il frutto della recente rivoluzione neolitica avvenuta poche migliaia di anni fa rispetto al lunghissimo percorso evolutivo dell'umanità. La civiltà è da considerare come un viaggio iniziatico, un po' come quello di Ulisse, il cui fine è la riscoperta della conoscenza dei valori ancestrali e l'acquisto di una maggiore consapevolezza della loro importanza, soprattutto per il fatto che, nonostante le profonde trasformazioni psicologiche a cui il percorso delle civiltà che si sono succedute ci hanno sottoposto (con l'introduzione della mentalità commerciale, dell'asservimento e della conquista), essi non ci hanno mai abbandonato, ma aspettano solo il lento risveglio verso una nuova era. L'uomo preistorico era perfettamete conscio del suo ruolo nel cosmo e del fatto che ogni elemento naturale è contenuto e riflesso psicologicamente nella mente e nell'essenza umana come in un microcosmo e sapeva interagire con le energie sottili dell'universo; conosceva profondamente le proprietà dei materiali, delle rocce, delle piante, conosceva i cicli lunari, le costellazioni, l'astronomia, era perfettamente consapevole ed integrato nella realtà visibile ed invisibile del mondo che lo circondava e non aveva bisogno di sfruttare l'ambiente per vivere con dignità. Fu proprio Rousseau colui che affermò che in natura non esiste miseria, o almeno non quanta ne può esistere in una civiltà gerarchicamente organizzata e, nonostante la sua filosofia sia falsamente progressista e cpntenga elementi fortemente reazionari, in questo ebbe ragione. Ma anche quelle esposte fino ad ora sembrano tutte ipotesi e teorie riduttive di fronte ai nuovi studi condotti da ricercatori alternativi sul messaggio dei complessi pittorici paleolitici.

L'ARTE DI QURTA COME PROPAGGINE DELLA CULTURA MAGDALENIANA DEL TARDO PALEOLITICO EUROPEO. LE CORRISPONDENZE NELLE MAPPE STELLARI DELLA CAVERNA DI LASCAUX E I MONUMENTI DI GIZA.
Foto: alcune incisioni raffiguranti bovini sulla parete rocciosa di Qurta, in Egitto, risalenti al Paleolitico e datati a 13.000 anni a.C. Originariamente le figure erano dipinte con colori scuri e sono stilisticamente affini all'arte paleolitica magdaleniana europea comprendente la caverna di Lascaux (Francia), Altamira (Spagna) e, soprattutto, la Grotte de la Marie de Tayac, in Francia.
Scena dal "Pozzo dell'uomo morto" della caverna di Lascaux e sue corrispondenze astronomiche.
Il toro raffigurato nella caverna di Lascaux, sopra la schiena del quale sono rappresentate le Pleiadi; i punti intorno agli occhi dovrebbero corrispondere alle Iadi.
La famosa scena dal "Pozzo dell'uomo morto" della caverna di Lascaux. Ogni figura corrisponde alle linee immaginarie che congiungono le stelle della costellazione del Leone, dei Gemelli, del Toro. L'uomo stilizzato con testa d'uccello potrebbe essere la raffigurazione dell'uomo primordiale e dell'anima che si leva in volo incontro alla propria trasformazione dopo la morte.

 Fin dal 1962, dopo la sensazionale scoperta di una missione archeologica canadese, la comunità scientifica è stata a conoscenza delle straordinarie incisioni che si trovano su una parete rocciosa estese per più di un chilometro di lunghezza e 70 metri d'altezza, presso il villaggio egiziano di Qurta, nella regione di Kom Ombo, ma solo nel 2004, sotto la supervisione dello studioso belga Dirk Huyge, le antichissime raffigurazioni furono degnate di ulteriori studi che le fecero risalire a 15.000 anni fa, ovvero in piena epoca paleolitica e, secondo lo stesso Dirk Huyge, l'arte di Qurta appartiene senza dubbio alla stessa cultura che ha prodotto i capolavori d'arte di Lascaux e Altamira. Prima di inoltrarci in approfondimenti più dettagliati dobbiamo premettere un'ipotesi (che può essere anche considerata una certezza alla luce dei nuovi studi), ovvero che la civiltà egizia e i suoi monumenti più antichi della piana di Giza (le tre piramidi di Micerino, Cheope e Chefren) costituiscano le estreme propaggini di una cultura paleolitica, estesa anche in tutta Europa, e del culto iniziatico di una conoscenza ancestrale, risalente all'alba dei tempi; un culto tramandato di generazione in generazione il quale sarebbe depositario della consapevolezza ancestrale dell'origine dell'uomo e dell'universo, a cui solo coloro che ne erano ritenuti degni potevano accedere. Nella regione di Kom Ombo sono stati rinvenuti reperti risalenti alla cultura Ballanan-Silsilan, costituita da cacciatori raccoglitori del tardo Paleolitico, nel periodo in cui aveva termine la fase iper-arida del Sahara e questo si stava trasformando a poco a poco in un'immensa distesa verde, destinata a durare così per altre migliaia di anni, prima di trasformarsi di nuovo in deserto. Tuttavia, l'arte parietale di Qurta è molto più simile al modello contemporaneo europeo piuttosto che riferibile a una cultura nord-africana, poichè vi mancano icone di animali tipici di questa zona nel periodo verdeggiante: giraffe, elefanti, ippopotami, ecc...ma prevalgono i bovini e, soprattutto, i tori, il più grande dei quali misura fino a due metri di lunghezza. Queste raffigurazioni sono stilisticamente sovrapponibili all'arte della cultura Magdaleniana del tardo Paleolitico europeo: Altamira, Lascaux, La Madeleine. Ma ora soffermiamoci a riflettere sul modello astronomico che viene riprodotto dai monumenti della Piana di Giza e, più di 10.000 anni prima, dai dipinti della caverna di Lascaux. La "Sala dell'uomo morto" della caverna di Lascaux, sulle cui pareti è rappresentata una figura umana itifallica con testa d'uccello in posizione obliqua, un toro e un rinoceronte di spalle alla sinistra di queste due figure, testimonia il passaggio di migliaia di visitatori nel corso del tempo, prima che la caverna, 13.000 anni fa, fosse chiusa da una frana e dimenticata per migliaia di anni fino ai giorni nostri. Da ciò si deduce che le raffigurazioni avessero un'enorme importanza culturale e tramandassero una conoscenza atavica di cui questi popoli volevano custodire la memoria. Ed è qui che entra in gioco uno studioso come Glyn Jones, il quale scopre la corrispondenza fra la scena del "Pozzo dell'uomo morto" e la regione astronomica dei Gemelli, del Toro, del Cane Minore e del Leone. Infatti il posizionamento obliquo della figura umana con testa d'uccello rispetto alle corna e alla posizione del toro di fronte a lui, corrisponde esattamente alle linee tracciate per formare le figure della costellazione dei Gemelli e del Toro; l'uomo stilizzato sembra galleggiare di fronte alla figura taurina e le linee che ne tracciano il corpo sono sovrapponibili alle linee immaginarie della costellazione dei Gemelli. Il rinoceronte raffigurato di spalle, inoltre, è posizionato rispetto alle altre figure nel punto preciso dove si trova la costellazione del Leone e i tratti della coda e del corpo riproducono fedelmente le linee immaginarie corrispondenti a questa regione celeste. Ma il fatto più sorprendente consiste nell'affinità della figura del rinoceronte con quella dell'Unicorno, ben sapendo che la costellazione dell'unicorno è invisibile ad occhio nudo ed è sovrapposta proprio dalla stessa costellazione del Leone; l'unicorno e il rinoceronte sono entrambi muniti di un solo corno e questo può ben far riflettere sul fatto che questa non sia solo una coincidenza, anzi, sarebbe davvero grossolano liquidarla in questo modo. Lo studioso Loris Bagnara afferma infatti che questo può consistere nel "riaffiorare di un ancestrale conoscenza astronomica". Come vedremo più avanti questa regione celeste ha successivamente costituito una vera e propria ossessione in epoca storica: le piramidi della piana di Giza sono posizionate in relazione ad essa e questa regione astronomica è sempre stata considerata come una "porta", un luogo verso il quale l'anima del faraone si sarebbe diretta per incontrarte il suo destino di trasformazione. Un'altro gruppo di figure fra le più note di Lascaux, quella con il toro dall'occhio incredibilmente espressivo contornato da punti neri, sopra la schiena del quale vi è un gruppo di sei segni puntiformi, rappresenterebbe le Pleiadi per quel che riguarda i punti sopra la schiena del toro, le Iadi invece ripetto ai punti presenti intorno all'occhio. La figura dell'uomo-uccello, onnipresente in tutte le culture paleolitiche fino al tardo Neolitico (come l'idoletto scoperto presso il villaggio neolitico di Sammardenchia in Friuli, dal corpo umano con testa d'uccello), è da riferire al culto dei morti come simbolo dell'anima che si separa dal corpo e si alza in volo verso altre destinazioni, un allusione alla catarsi. E' stata avanzata anche l'ipotesi, dall'autrice americana specializzata in età neolitica Mary Settegast, che l'uomo uccello sia da associare alla mitologia vedica di Yama, fratello di Manu, il primo uomo, destinato a divenire il guardiano del regno dei morti dopo l'espiazione delle proprie colpe. L'etimologia indoeuropea del nome sanscrito Yama significa infatti "gemello", così come il persiano Yima e lo scandinavo Ymir; da qui possiamo estendere il paragone al mito del dio greco degli inferi: Ade. In conclusione, l'uomo-uccello dell'arte paleolitica rappresenterebbe l'antenato comune, il primo uomo sulla terra. Nel complesso delle figure del "Pozzo dell'uomo morto" di Lascaux, proprio sotto l'uomo-uccello, è rappresentata un'altra significativa icona raffigurante un volatile, ad ali chiuse, ritto su una pertica.

Lo Zodiaco dal tempio di Dendera in Egitto (360 a.C.), dove si vede l'immagine di Horus ritto su un fusto di bambù, proprio come l'uccello sulla pertica della caverna di Lascaux, raffigurato sotto la figura dell'uomo stilizzato che rappresenta la costellazione dei Gemelli. L'uccello sulla pertica, invece, dovrebbe rappresentare la stella Procione, che si trova posizionata proprio in quel punto rispetto ai Gemelli.


LA STIRPE DI HORUS. IL MITO DI OSIRIDE. LE TEORIE DI GLYN JONES

Altri esempi simili si osservano in epoca storica, come quello del tempio meglio consevato di tutto l'Antico Egitto: il tempio di Dendera, nel quale vi è un bassorilievo circolare dello Zodiaco, in cui Horus è rappresentato appollaiato sopra un fusto di papiro; questa iconografia di Horus è legata alla stirpe dei Seguaci di Horus, che sarebbe venuta da una terra lontana e avrebbe governato l'Egitto dopo la caduta dei regni degli dèi e semidei che portarono la conoscenza e l'illuminazione; questa stirpe governò l'Egitto molti millenni prima dell'epoca dinastica! Il sito in cui si trova l'antica città di Eliopoli, fondata dai seguaci di Horus, fu occupato fin da tempi remotissimi, pre-dinastici e paleolitici; è possibile che qui vi si trovasse un importante centro culturale di antiche genti, le stesse che dipinsero le caverne di Lascaux e Altamira, la stessa cultura che in Europa, 17.000 anni fa, era depositaria della gnosi ancestrale. Secondo il più antico dei suoi miti Horus venne concepito da Iside e Osiride, dopo che Osiride fu assassinato da Seth, suo fratello, e Iside ricompose il suo corpo; non riuscendo a recuperare il membro lo sostituì con uno di legno con il quale concepì Horus. Durante una furiosa battaglia contro Seth per vendicare suo padre, Horus perse un occhio strappatogli dal suo avversario; quando riuscì a recuperarlo lo donò ad Osiride suo padre, permettendo in questo modo ad Osiride di completare il ciclo delle stagioni e dei raccolti. Un'altro mito più diffuso vede Osiride come il dio dell'oltretomba, a presenziare il giudizio delle anime dei defunti. Ma un'altra correlazione lega l'Antico Egitto alle opere della caverna di Lascaux: l'uccello sulla pertica di Lascaux, secondo Glyn Jones, è da attribuire piuttosto a Procione che a Sirio, in seguito, quando queste antiche popolazioni si trasferirono in Egitto, per semplificare attribuirono il culto a Sirio, più luminosa, e diedero vita al mito della Fenice: l'uccello sacro che rinasce dalle proprie ceneri, simbolo catartico del viaggio dell'anima. Il mito della Fenice è infatti legato alla stella Sirio, che si trova proprio sotto la costellazione del Toro e Orione, esattamente nel punto in cui si trova l'uccello sulla pertica della caverna di Lascaux, sotto il Toro che raffigura l'omonima costellazione. Riguardo alle incisioni rupestri di Qurta, originariamente dipinte con colori scuri, il dottor Dirk Huyge afferma di averle assimilate stilisticamente con Lascaux per semplificazione, ma che esse sono in realtà particolarmente affini alla grotta tardo-magdaleniana di Mairie in Teyjat, più recente di 2000 anni rispetto alle opere di Qurta. Glyn Jones afferma che le opere di Lascaux presentano affinità con i miti dell'Egitto dinastico supponendo la civiltà egizia come propaggine della cultura magdaleniana del paleolitico europeo. Non abbiamo ad oggi indizi che possano attestare il luogo di provenienza di queste popolazioni, se originarie dell'Africa del nord o dell'Europa. Dobbiamo precisare che la regione celeste relativa alle costellazioni rappresentate nella caverna di Lascaux, ossia quella fra i Gemelli e il Toro, presso tutte le antiche civiltà è stata considerata un punto di "passaggio", un luogo di trasformazione e di viaggio dell'anima dopo la morte incontro al suo destino.

IL DUAT, O LA PORTA DELL'UNIVERSO
Le piramidi di Giza rispetto alle relative costellazioni.

Questa regione, comprendente le stelle di Orione, nell'Antico Egitto era chiamata "Duat". Il Duat è quella regione compresa fra le costellazioni dei Gemelli, del Toro, di Orione, del Cane Maggiore e del Cane Minore; il corrispondente terrestre di questa regione stellare è la piana di Giza, riprodotta dai suoi monumenti. Giza si trova al centro della necropoli di Menfi, e quest'ultima (che coincidenza!) è dedicata proprio al dio Sokar, rappresentato da una mummia con la testa di falco, proprio come l'uomo-uccello di Lascaux! Solitamente le figure ibride uomo-uccello delle raffigurazioni paleolitiche e neolitiche avevano testa di rapace. Fra le tre piramidi di Giza e la cintura di Orione vi è una sorprendente corrispondenza, tale da non far pensare che si tratti di una coincidenza. Ma il risultato migliore, per quel che riguarda la correlazione degli asterismi di orione e di Sirio con i monumenti della piana di Giza, lo si ottiene confrontando la loro disposizione con quella che doveva essere la visione del cielo stellato 17.000 anni fa. Per ottenere l'esatta correlazione con la rispettiva stella, è necessario raggiungere il centro della piramide: quella di Cheope corrisponde a Sirio, quella di Chefren ad Alnilam al centro della cintura di Orione, quella di Micerino ad Aldebaran nella costellazione del Toro, la Sfinge corrisponde a Procione, nella costellazione del Cane Minore. Secondo la tradizione ellenistica le tre più antiche piramidi di Giza sarebbero le tombe dei rispettivi faraoni, ma ciò non è comprovato, non essendovi trovata traccia di camere sepolcrali o le mummie dei sovrani all'interno.  E' noto che i monumenti di Giza furono edificati su dei rilievi preesistenti, simili a quello del Gebel Qibli, che si trova di fronte alle grandi piramidi ed è difficile pensare che si tratti di rilievi naturali, visto che la piana di Giza è un territorio prevalentemente pianeggiante; anche la Sfinge è stata modellata a ridosso di una collina: naturale o artificiale? In conclusione: 17.000 anni fa, all'osservatore che si fosse trovato ai piedi della piramide corrispondente, si poteva veder sorgere sulla cima della collina del Gebel Qibli: Alnilam dalla piramide di Chefren, Aldebaran da quella di Micerino, Sirio da quella di Cheope. Ecco perchè sorge il dubbio che il complesso di Giza sia costruito su precedenti indicazioni e tumuli cultuali. Proprio questo è il grande dilemma: se i monumenti di Giza seguissero le tracce di precedenti costruzioni, risalenti ad epoca preistorica, più precisamente a 17.000 anni fa, potrebbero nascondere al loro interno i segreti e le testimonianze di una civiltà molto più antica, antidiluviana, di cui i popoli magdaleniani europei e la successiva civiltà egizia sarebbero eredi. Non possiamo infatti pensare, alla luce delle nuove scoperte come quella, straordinaria, delle pitture della caverna di Chauvet (più antiche di 20.000 anni di quelle di Lascaux ed Altamira e, tuttavia, altrettanto perfette e riproducenti la stessa tecnica della "moviola" a 6 zampe per dare il senso del movimento alle figure) che la cultura del tardo Paleolitico (magdaleniana) possa essere la prima depositaria di questi saperi ancestrali, ma piuttosto che essa li abbia, al pari di quella che ha prodotto le pitture di Chauvet 20.000 anni prima, ereditati da una civiltà esistita in tempi remotissimi, al di là della nostra attuale immaginazione.

IL MITO DELLO ZED

Il pilastro Zed in una raffigurazione dell'Antico Egitto.
Schema del posizionamento dello Zed all'interno della piramide di Cheope. Si notano i misteriosi cunicoli, uno dei quali è stato ispezionato da uno speciale robot nel 1993 durante una spedizione archeologica che scoprì, in fondo al percorso, una porta con maniglie di rame. La missione fu arrestata dalle autorità egiziane per misteriosi motivi che cercheremo di capire in questo paragrafo.

L'ingegnere bolognese Mario Pincherle già negli anni '70 del secolo scorso affermò che la piramide di Cheope altro non fosse che il gigantesco scrigno dello Zed, costruita con ben due strati di pietre granitiche (costruita praticamente due volte) di cui lo strato sottostante di un materiale più pregevole di quello da cui sono costituiti i blocchi esterni, originariamente rivestita da lastre di marmo che riflettevano la luce. Ora dobbiamo considerare il fatto che: o il fantomatico faraone, di cui non si è trovata traccia, era dotato di un ego talmente spropositato al punto da farsi costruire una dimora siffatta come sua sepoltura, o la piramide serviva (ed è un ipotesi più plausibile) per custodire la conoscenza primordiale ed il potere magnetico dello Zed. Lo Zed sarebbe un'antichissima torre di granito, eredità di una civiltà antidiluviana, il cui potere consiste nella magnetizzazione delle energie dell'universo le quali sarebbero ritrasmesse beneficamente sulla terra, ma questa è una spiegazione semplicistica rispetto a ciò che quest'oggetto dovrebbe rappresentare. La testimonianza dell'esistenza dello Zed si trova nel Libro di Enoch; Enoch (patriarca ebraico) giunse in Egitto e rimase impressionato dalla visione di questa torre. All'inizio lo Zed si trovava sopra la piramide a gradoni di Zoser, a Saqqara, progettata dall'architetto Imhotep, più antica di duecento anni rispetto alla grande piramide di Giza. Si pensi che la più antica piramide d'Egitto fa parte di un complesso architettonico ricco di sorprendenti innovazioni con colonnati a scanalature, portici, propilei e  capitelli a foglie pendule che mai più furono riprodotte nell'architettura egizia; quale logica dovremmo seguire se tutti i più antichi monumenti (non solo in Egitto) sono costruiti con una perfezione di gran lunga maggiore a quelli successivi? Questo non testimonia che essi siano piuttosto le estreme propaggini di una civiltà sepolta dal tempo o da un cataclisma? Mentre noi ci poniamo queste domande, chi ha potuto accedere a queste conoscenze tace e, forse, non a torto, poichè i tempi non si dimostrano ancora maturi per svelare il segreto dell'umanità  e, con esso, quello della nostra origine. Nel 1993 venne costruito uno speciale robot, di fabbricazione tedesca, che venne poi calato attraverso uno dei lunghi cunicoli, dalla funzione misteriosa, della piramide di Cheope; il robot era denominato Upuaut, che in antico egizio significa "colui che apre la via"; questo sofisticato aggeggio scoprì alla fine del cunicolo una piccola porta di marmo con due maniglie di rame dalla quale forse si accede ad una camera segreta; i protagonisti di questa missione esultarono, si trattava di una scoperta che avrebbe potuto rivoluzionare il mondo e la storia, ma la spedizione archeologica tedesca guidata dall'ingegnere di robotica Rudolf Gantenbrink fu arrestata dalle autorità egiziane, non si saprà mai per quale motivo, e i ricercatori cacciati in malo modo dal Paese, con l'ingiunzione di non occuparsi più di questa scoperta. Il poco simpatico segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie, dottor Zahi Hawass, interdì da allora a chiunque di effettuare ricerche all'interno delle piramidi, ma durante un soggiorno negli Stati Uniti lo stesso Zahi Hawass si lasciò sfuggire queste dichiarazioni: "Il ritrovamento di quella porta è la più importante scoperta della storia dell'Egitto. Abbiamo trovato dei manufatti che costringeranno l'Occidente a riscrivere la storia passata..."

HELIOPOLIS E IL TEMPIO DELLA FENICE
Il dio Horus dalla testa di falco in un papiro egizio.

Ma i dettagli più sorprendenti non sono finiti: dalla città di Heliopolis, fondata dai mitici eredi del culto di Horus, proprio 17.000 anni fa si sarebbe potuta veder tramontare sopra Giza la cintura di Orione. Infatti la linea retta che che si estende da Eliopoli a Giza segue esattamente il posizionamento lineare delle tre piramidi. Anche Eliopoli, dunque, potrebbe essere (e forse questi dettagli fugano ogni dubbio) la sede di un precedente luogo di fondamentale importanza in epoca paleolitica.

In conclusione: per riuscire a compredere il passato e ripercorrere il sentiero delle nostre origini, dovremmo liberare la nostra mente dalla concezione lineare del tempo, per riprendere il concetto, più logico, della ciclicità, proprio di tutte le culture antiche, e capire in questo modo che nulla vi è di nuovo nel percorso della conoscenza, ma ogni tappa consiste in un ciclico ritorno; un ritorno destinato a chiudere il cerchio alla riscoperta della propria dimora.

Alessia Birri

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Identificata l'arte più antica d'Egitto, ha 15.000 anni:
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Il modello celeste di Giza, di Loris Bagnara:
http://ilmodellocelestedigiza.wordpress.com/insintesi/ilmodellocelestedigiza/

Il mito di Horus:
 http://www.tanogabo.it/mitologia/egizia/horus.htm